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Che cos'è l’empatia e perché fa bene essere empatici

02-03-2023 14:50

Nicola Sensale

EMOZIONI,

Che cos'è l’empatia e perché fa bene essere empatici

L'Empatia è una competenza socio-emotiva che ci consente di comprendere a fondo gli altri, quasi come fossero parte di noi. Leggi l'articolo per approfondire.

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​L’empatia è la competenza che ci consente di comprendere con sufficiente immediatezza cosa vivono intimamente le persone che ci circondano, senza che a tale atto di "vicinanza interna"  debba aggiungersi forzatamente una spiegazione mentale.

 

Attraverso la corrispondenza empatica, la situazione dell'altro è già ben presente in noi, lo avvertiamo sensorialmente e somaticamente, "come se stesse accadendo a noi".

 

Ce ne ha parlato tanto Carl Rogers, padre dell’approccio centrato sulla persona, uno studioso che aveva capito tante cose su come si trattano gli altri per ottenere il meglio da loro invece che andare incontro a fallimenti.

 

Egli così la definiva: “lo stato di empatia, o l’essere empatico, consiste nel percepire il quadro di riferimento interno di un altro con accuratezza e con le componenti emotive e i significati che a quell’altro appartengono in una condizione speciale di immedesimazione come se uno fosse quella persona, ma senza mai perdere la condizione del 'come se', per evitarne identificazione." (Rogers 1975).

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In pratica secondo Rogers: comprendere in modo sensibile e accurato [ma non in modo totalmente comprensivo] l'esperienza e i sentimenti dell'altro mentre siamo con lui.

 

Quando una persona a noi cara piange o è un bambino a farlo, di solito ci commuoviamo.

 

Non sempre accade, tuttavia, è provato che un numero ragionevole di volte la commozione è la nostra risposta interna.

 

Perché succede?

 

Perché la nostra mente è in grado di produrre istantaneamente una rappresentazione mentale di quando eravamo noi nella stessa situazione di questa persona cara o di quel bambino. 


Questa “polaroid emozionale” si chiama corrispondenza empatica, ovvero come ci insegna Rogers, l’atto di riconoscere se stessi nell’altro, come in un gioco di specchi.

 

Non è il ricordo di qualcosa che ci è accaduto ad entrare in gioco, non è cioè necessario ragionare o pensare a qualche memoria di un analogo episodio in cui eravamo noi a piangere.

 

La mente vede noi nell’altro e basta.

 

Se amiamo incontrare emotivamente gli altri con sufficiente disponibilità, allora ci commuoviamo, ovvero intuiamo cosa sta provando un’altra persona in una data situazione, perché è come se stesse accadendo a noi, anche se non è veramente così, ma ci rivediamo nell’esperienza dell’altro, risuoniamo.

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Diventiamo pertanto “empatici” con la sofferenza degli altri e se siamo delle persone sufficientemente sociali esprimiamo un qualsiasi moto di vicinanza nei suoi confronti (sorriso empatico, riduzione della distanza, allungamento del capo, tentativo di abbracciare o porgere la mano aperta). 

 

Perché non possiamo esserlo con tutti, anche se le nostre qualità sociali innate ci spingerebbero a farlo?

 

Come mai non facciamo entrare tutti nella nostra famiglia umana, nel nostro clan esistenziale di riferimento?

 

Ciò non accade sia perché potrebbe essere pericoloso farlo indistintamente (nella vita sulla terra esistono i predatori e gli egoismi, non è una considerazione di natura morale, è un dato di realtà, pertanto mettiamo dei confini tra noi e gli altri), sia perché se l’empatia non fosse “moderata”, diciamo così, saremmo sempre in situazione di corrispondenza emotiva con tutti e passeremmo le nostre giornate a commuoverci per le sorti del mondo, impedendoci di agire.

 

Invece la maggior parte delle persone che fanno parte della nostra famiglia umana ci spingono a essere empatici, con le loro gioie e i loro turbamenti e desideriamo che loro lo siano altrettanto con noi.

 

Perché avvertire l’empatia degli altri significa sapere che essi ci capiscono e sentirsi capiti è una meravigliosa esperienza, perché ci rende universali e certi di appartenere alla comunità della vita, di poter ricevere comprensione e se necessario aiuto.

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Ecco perché l’empatia serve, è la base biologica del comportamento sociale e affettivo umano, della motivazione a cooperare, unirsi, essere solidali.

 

L’empatia è un aspetto costitutivo, determinante, della dimensione dell’amore

 

Non sempre riusciamo a essere empatici, nemmeno in quantità moderata.

 

Perché la corrispondenza empatica richiede la disponibilità a provare delle emozioni, la qual cosa non ci trova sempre preparati e per alcuni diventa una disposizione intollerabile o negata.

 

Molte persone potrebbero sembrare egoiste, disinteressate e indifferenti alle sorti degli altri e per questo considerate malevoli, perché non riescono a esprimere empatia verso il disagio degli altri.

 

In realtà questa sorta di anaffettività relazionale è dovuta al collasso del sistema deputato a gestire le emozioni che per alcuni è più difficile da attivare di un esercizio di sollevamento pesi per il campionato del mondo.

 

Troppe emozioni spaventano.

 

Anche la rabbia che proviamo verso qualcuno ci impedisce di comprenderne empaticamente il mondo interno, questa è la ragione per la quale, sovente, non rispondiamo empaticamente nei confronti di una persona “che ci ha fatto arrabbiare”, quando ci chiede “cerca di capirmi…”. 

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L’empatia è quella competenza, organicamente possibile grazie all’esistenza dei neuroni specchio, che consentono ad ogni individuo di comprendere gli stati interni dell’altro, senza necessità che tale sintonizzazione sia accompagnata da un percorso di deduzione logica o da una rappresentazione mentale della situazione.

 

Le sensazioni empatiche si attivano per lo più “implicitamente”, sono avvertite sensorialmente e somaticamente, anche se non è escluso che vi si possa riflettere “a posteriori”.

 

La comprensione empatica dell’altro, presuppone una sufficiente capacità di contatto con sé e l’abilità di distinguere ciò che è proprio da ciò che non ci appartiene.

 

Implica pertanto il riconoscimento dell’altro come soggetto portatore di medesime istanze e per tale ragione disincentiva l’attività proiettiva, l’attribuzione di colpa o di intenzionalità negativa, fino alla sospensione del giudizio in favore di una visione più accurata e realistica delle persone che ci circondano.

 

L’empatia é dunque anche la base necessaria a far cadere pregiudizi e barriere tra i popoli.

 

Sta al pregiudizio e alla xenofobia quanto il diabete sta alla sachertorte. 

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Negli anni ’80 e ’90 gli scienziati dell'equipe medica di ricerca dell'università di Parma, Giacomo Rizzolatti, insieme a Leonardo Fogassi e Vittorio Gallese, studiando l’area F5 della corteccia del  macaco, fanno una sensazionale scoperta: i neuroni della scimmia che guarda un’altra scimmia eseguire dei movimenti, si attivano nello stesso modo in cui attivano quelli della scimmia che li sta eseguendo, “come se li stesse facendo anche lei”.

 

Nasce il concetto di simulazione incarnata, base della teoria dei neuroni specchio, ritenuti il sostrato organico del concetto di “corrispondenza empatica”: se vedo una persona soffrire, vedo me che soffro (atto motorio potenziale), pertanto so cosa sta provando e mi posso sintonizzare sul suo stato interno, rispondendovi adeguatamente, rispecchiandole cosa sta esattamente accadendo al suo intern), mostrandole di aver compreso, facilitandole la possibilità che sappia dare un nome a cosa sta vivendo (se lo vede rispecchiato in diretta!), assicurandole vicinanza affettiva. 

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Daniel Stern, (New York 1934-Ginevra 2012), psichiatra e psicoanalista statunitense, ha definito la corrispondenza empatica  con l’espressione: “sento che tu senti che io sento”.

 

I neuroni specchio quindi ci aiutano a entrare in contatto emotivo con gli altri.

 

La nostra mente è sociale e legge il pensiero dell'altro, solo osservando e copiando.

 

É così che per lo più apprendiamo: come osservando le azioni degli altri osserviamo anche i comportamenti emotivi e sappiamo riprodurli, identificandoci in essi. 

 

L'empatia, supportata dai neuroni specchio, è una competenza socio-affettiva innata.

 

L’empatia è un aspetto costitutivo, determinante, della dimensione dell’amore e della comprensione umana.

 

Aiuta gli amici a comprendersi e gli amanti a smettere di litigare.

 

Come ci ha insegnato Carl Rogers, il padre della psicologia umanistica l'empatia è alla base anche del counseling, quel percorso fatto di disposizioni d'essere e tecniche di comunicazione e di ascolto attivo utili ad imparare a stare con gli altri, nel rispetto della reciproca umanità. 

Studio del Dott. Nicola Sensale
Via Borgosesia, 63
10145 Torino
+39  388 94 47 902 centrostudires@gmail.com

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Nicola Sensale Psicologo e Psicoterapeuta in Torino

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